PSICOLOGIA E(‘) POLITICA

La presa di posizione dello psicologo tra ideologia e tecnica per il benessere della comunità

Matteo Bessone

E’ possibile per uno psicologo essere neutrale rispetto ai processi politici?
Io credo di no, la neutralità spesso non è altro che una forma resa tecnicamente accettabile di indifferenza, la paura nel prendere una posizione chiara, posizione che però viene inevitabilmente rivelata ogni nostro gesto, ogni nostra parola, ogni nostro silenzio.

Se la politica è l’arte del governare la polis, come può la psicologia esimersi dal prendere parola rispetto ai rapporti che ci si auspica la polis riesca a rendere possibili? Come può tacere rispetto alle forme disumanizzanti assunte dalla nostra politica. Non è più una questione di ideologia politica, è una questione tecnica: alcune politiche non promuovono il benessere degli individui, la letteratura scientifica e sociale ce lo dice con incontrovertibile chiarezza.
Facciamo un esempio. Il razzismo. Si tratta di un fenomeno politico oltre che intrapsichico. Come possiamo immaginare di costruire individui in salute, capaci di amare, di affrontare la paura del diverso, senza renderci conto che stiamo contestualmente già partecipando alla costruzione di una ben precisa comunità, politicamente connotata.
In epidemologia si parla di “ideologia fondata sulle evidenze”(Marmot, 2016). Gli epidemiologi non temono di prendere una posizione chiara, precisa e definita rispetto alle politiche che costruiscono individui e comunità sane. Abbiamo ormai molti dati a disposizione per sostenere che alcune politiche nuocciono gravemente alla salute, che alcune politiche sono più responsabili di altre di individualismo, competizione sfrenata, disinteresse nel prossimo, avidità, tutti fattori di rischio per una gran mole di sofferenza evitabile. Le forti e crescenti disuguaglianze che caratterizzano la nostra epoca sono correlate ad una moltitudine di fenomeni con cui gli psicologi si ritrovano a confrontarsi in studio.
L’obiettivo è quello di trovare le capacità di resilienza degli individui? Di ri-adattarli a politiche e contesti che creano malessere, paura, smarrimento, insicurezza, odio ? Di accettare così come i determinanti sociali (WHO, 2014) che minano la salute mentale di individui e comunità?
La politica co-determina individui più o meno sani in grado di costruire società e politiche più o meno salutogeniche. Testimoniare l’importanza della fiducia, della collaborazione, del rispetto del prossimo non è un’azione neutra, è già partecipare, forse inconsapevolmente, ad un ben preciso progetto politico, un modo di stare insieme e costruire legami, relazioni.
Abbiamo bisogno di approfondire il legame tra individui e società per poter essere certi di non prestare il fianco, con il rassicurante silenzio che talvolta abita i nostri studi e la nostra vita comunitaria, a politiche malsane, folli e ingiuste. Non si tratta di ideologia.

Marmot, Michael. “La salute disuguale.” Il Pensiero Scientifico Editore (2016).

World Health Organization. “Social Determinants of Mental Health” (2014).

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Laura

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