Costruire un mondo migliore grazie allo sviluppo della personalità comunitaria

Alzi la mano chi di fronte alle ingiustizie quotidiane di questa società non ha mai pensato di voler costruire un mondo migliore!? Se stai leggendo questo articolo, molto probabilmente ti occupi di salute mentale e hai scelto questa professione perché desideri aiutare gli altri. Tuttavia, non siamo fatti di marmo e, nonostante tutti gli studi […]

Alzi la mano chi di fronte alle ingiustizie quotidiane di questa società non ha mai pensato di voler costruire un mondo migliore!? Se stai leggendo questo articolo, molto probabilmente ti occupi di salute mentale e hai scelto questa professione perché desideri aiutare gli altri. Tuttavia, non siamo fatti di marmo e, nonostante tutti gli studi e le conoscenze della disciplina psicologica, trovarsi di fronte a notizie catastrofiche, spesso frutto della trascuratezza o mancata coordinazione umana, non è facile. Perché questo mondo (detta di “pancia” eh) fa così schifo? Cosa manca agli esseri umani per poter fare tesoro del dono della vita? L’ipotesi che portiamo avanti come Psicoterapia Aperta è che stiamo osservando una progressiva disgregazione psichica della mente sociale: occorre rivedere il contratto tra individuo/gruppo, individuo/famiglia e individuo/società nell’ottica di una rifondazione antropologica della dimensione cognitiva gruppale.

Indice

L’abbaglio dell’utopia del Villaggio Globale: cos’è andato storto?

Luoghi, non luoghi e spazi sociali mentali

Globalismo e disgregazione del contratto della psiche sociale nelle culture

Identikit del nuovo cittadino globale

Rischi e caratteristiche delle esperienze comunitarie

Tirando le somme

Riflessioni per una rifondazione antropologica della dimensione cognitiva gruppale

In conclusione

L’abbaglio dell’utopia del Villaggio Globale: cos’è andato storto?

villaggio globale

Correva niente meno che il 1968, quando il noto studioso di sistemi di telecomunicazione di massa, Marshall Mcluhan, utilizzò per la prima volta il termine “Villaggio Globale”. Con l’affermarsi di una inter-connettività globale, capace di abbattere l’effetto delle barriere fisico/geografiche tra i popoli, il mondo intero in questa visione sarebbe diventato finalmente una sorta di gran super-paesone.

La locuzione “Villaggio Globale” ebbe un tale successo che con la diffusione progressiva di internet, negli anni Novanta e primi Duemila, bagnò le labbra dei maggiori teorici e intellettuali degli ambiti accademici dediti alla ricerca antropologica, sociologica, filosofica, etica, estetica e artistica.

D’altronde bisogna ammetterlo: cosa può esserci di più affascinante di un’idea del mondo come unità? Non è forse questa stessa l’immagine di come anche noi (almeno nella grande maggior parte dei casi) ci rappresentiamo intimamente un mondo migliore?

Eppure, oramai è chiaro per tutti che qualcosa è andato storto. Ma cosa?

Luoghi, non luoghi e spazi sociali mentali

Era il 1992 quando l’antropologo francese Marc Augé coniò per la prima volta il neologismo “non luogo” per definire tutti quei nuovi spazi “di passaggio” come i centri commerciali, gli aeroporti, le grandi hall cittadine che sono spuntati come funghi per soddisfare le logiche di un consumismo globalista sempre più vorace.

Pare che tali non luoghi, caratterizzati proprio da una visione essenzialmente profondamente utilitaristica del profitto, abbiano gradualmente sostituito e delegittimato i luoghi tradizionali dell’incontro sociale spontaneo: le piazze, le strade e i porticati delle città e persino i cortili dei condomini.

Dal marketing alla mente

Eh sì, perché questo processo così pervasivo da parte del modello consumista è stato capace di entrare persino negli spazi comuni abitativi (anche se qui normalmente non vi sono negozi e attività commerciali), in quanto parallelamente alla colonizzazione fisica dei luoghi convertiti a non luoghi, è avvenuta anche una colonizzazione degli spazi sociali mentali.

I condomini litigano perché “i bambini non devono giocare in cortile che vadano in ludoteca, piuttosto che al parco-giochi, oppure no, meglio ancora! Perché non mandi i tuoi figli direttamente in un qualche corso extrascolastico che così almeno fanno qualcosa di utile!?”.

In parole semplici: dietro alle quinte, se andiamo più a fondo, ci rendiamo conto che questa è innanzitutto l’arena di una guerra psichica.

[Potrebbe interessarti anche “Lavorismo, percezione e salute mentale nell’era del capitalismo biocognitivo“]

Globalismo e disgregazione del contratto della psiche sociale nelle culture

Le prime vittime di questo conflitto pervasivo di carattere meta-cognitivo, sono proprio le nostre attitudini e competenze sociali.

Per meglio comprendere questa affermazione, occorre fare due passi indietro e tornare a quell’idea così ammiccante del Villaggio Globale.

Mentre la logica avrebbe voluto che la potenzialità della tecnologia ci aiutasse a superare le nostre differenze in nome di un bene comune superiore – ovvero l’abitare il mondo in armonia – nella realtà quello che è successo è che abbiamo assistito a un mescolamento culturale antropologico su scala globale troppo veloce che, per tale, ha svuotato le culture dei loro valori e relativi dispositivi sociali aggreganti.

Col crollo delle singole narrative culturali delle diverse popolazioni, i contratti identitari della psiche sociale dell’individuo sono stati messi fortemente in crisi.

Il rapporto individuo/gruppo, individuo/famiglia e individuo/società ha subito, seppur con misure e sfumature differenti, delle incrinature tali da rendere netto il taglio col passato delle società pre-digitali.

Identikit del nuovo cittadino globale

Cos’è successo allora a questo nuovo individuo? Qual è oggi il volto del cosiddetto cittadino globale? E cosa ne è diventato del miraggio del mondo migliore siglato “Villaggio Globale”?

Laddove le singole culture sono state sgonfiate dei loro contenuti fatti di rituali, usanze e pratiche collettive autoctone, le persone hanno cercato un nuovo minimo comun denominatore adottando proprio il prodotto consumistico come espediente per ricostruirsi una nuova identità e senso di appartenenza.

L’apparenza e la competizione

Il nuovo cittadino globale tiene molto all’apparenza. La brandizzazione della sua esistenza sostituisce ora i valori della sua vecchia cultura d’appartenenza.

Il contesto in cui si muove è basato principalmente sul paradigma competitivo (anziché collaborativo). Implicitamente impara fin da piccolo che occorre essere dei vincenti: per farcela, bisogna eccellere non per ragioni di motivazioni intrinseche dei propri talenti e delle proprie passioni, ma utilizzare quest’ultime per affermarsi e prevalere sui propri coetanei.

In Italia, così come oramai in tante altre parti del mondo, il modello di vita più comune e diffuso per l’infanzia si basa sulla visione del bambino come individuo da allenare all’eccellenza: “devi andare bene a scuola”, “devi imparare subito l’inglese”, “devi allenarti ed essere bello”, solo così diventerai “ricco e famoso”.

Gli spazi di libertà e condivisione sociale non strutturata e non iper-controllata, sono oramai per la maggior parte dei bambini un miraggio.

Rischi e caratteristiche delle esperienze comunitarie

personalità comunitaria

La controparte della vita dei bambini così impostata è che l’assenza degli spazi liberi tanto reali, quanto mentali, deruba loro della possibilità di sviluppare i costrutti psichici relativi all’identità di gruppo (nonché anche molte altre qualità fondamentali per uno sviluppo equilibrato del bambino, come ci illustra magistralmente il pedagogo Peter Gray nel suo celebre saggio “Lasciateli giocare”).

Come sopra-accennato, la mancanza di tali abilità è già una realtà anche nel mondo di quegli adulti che però, a differenza delle nuove generazioni, hanno vissuto anche nell’era predigitale.

Quell’ideale irraggiungibile

Prendiamo come esempio le scuole Waldorf o i cosiddetti asili nel bosco dove comunità composte da genitori ed educatori si auto-organizzano per co-educare i bambini.

Spesso chi si avvicina a questo tipo di realtà sono persone mosse da intenzioni fortemente idealistiche che, per ragioni di convinzioni personali oppure per via di una visione critica della scuola pubblica, tendono a vedere in prima battura l’Eden in queste forme di aggregazione sociale alternativa.

Succede poi, molto spesso, che le dinamiche di gruppo si rivelino a costoro molto più complesse di quanto non si aspettassero: il rapporto tra visione ideale e realtà viene messo alla dura prova dalle dinamiche proprie dei gruppi immaturi, spesso privi di una reale ed effettiva condivisione dei valori e capacità da parte dei componenti di fidarsi del loro prossimo.

Si finisce così spesso col dare la colpa all’esperienza alternativa sulla quale ci si ricrede: “sono gli altri incapaci e disonesti, mica io che non so gestire la complessità!”.

Insomma, anche in questi “luoghi di eccezione”, la pulsione individualista è sempre là ferma dietro alla porta che non aspetta altro che il momento giusto per poter nuovamente irrompere.

Tirando le somme

Abbiamo tratteggiato l’evoluzione storica del concetto di Villaggio Globale; abbiamo compreso che qualcosa è andato storto e abbiamo cercato di capire cosa; poi ci siamo calati nella realtà del nuovo cittadino globale cercando di definirne le caratteristiche; infine abbiamo visto i tentativi di riconquistare una dimensione psichica gruppale da parte di un numero esiguo di cittadini alla ricerca di risorse per riempire quel vuoto relazionale su scala sociale che, in qualche maniera sentono esserci, ma solo raramente sono in grado loro stessi di colmare tramite la costruzione di alternative efficaci.

Cosa possiamo imparare da tutto ciò?

Riflessioni per una rifondazione antropologica della dimensione cognitiva gruppale

Il primo passo per costruire un mondo migliore dovrebbe consistere nel rifondare una nuova dimensione cognitiva antropologica, incentrata su un modello di personalità comunitaria. Dobbiamo riprenderci quegli spazi mentali educati alla competizione e ri-convertirli a un’educazione alla collaborazione.

Come

Per farlo, serve che i non luoghi (almeno alcuni) vengano nuovamente adibiti ad una socialità libera e spontanea, spazi d’incontro e officine narrative ubique e trasversali per l’istituzione di nuove pratiche culturali.

Serve inoltre una ridefinizione del soggetto contemporaneo che tenga conto delle istanze comunitarie senza tradire la sua autodeterminazione. L’assoggettamento che ha prodotto l’odierna civiltà e i suoi più comuni stili di vita, molto vicina a una e vera e propria alienazione, ha di fatto creato una polarizzazione e contrapposizione tra interessi sistemici e salute psicologica del soggetto. Ritrovarsi al fianco del benessere psicologico dei cittadini e delle loro comunità possibili fa scoprire che in realtà non è possibile alcuna mediazione tra interessi del PIL e salute psicologica dei sapiens. Questa consapevolezza è assodata per chi conosce a fondo le fenomenologie iatrogene dell’attuale civiltà umana e le sue vistose conseguenze sull’intero ecosistema.

Insomma, occorre mettere le mani in pasta e sporcarsele. Solo così impareremo a comprendere che dobbiamo innanzitutto decostruire in noi l’aspettativa di realizzare un nuovo mondo “perfetto”.

Si tratta di comprendere che la “ricerca della perfezione” è un processo (invece che un’immagine statica) che va allenata un po’ come si fa coi muscoli nelle pratiche sportive.

In conclusione

I nuovi contratti psichici del rapporto tra individuo e gruppi sociali si costruiscono in questo modo, non tramite l’idealismo confezionato in un involucro sterile che si disgrega ai primi contatti con la complessità del reale e delle relazioni.

Già, perché in un’ultima analisi ci pare che quel bel miraggio del Villaggio Globale sia andato a frantumarsi contro lo scoglio della cultura individualista dell’apparenza promossa dal consumismo. Ora è giunto il momento di fare tesoro dei nostri errori e di smettere di sperare in soluzioni facili e prefabbricate.

Articoli recenti

Gli ultimi feedback pubblicati

Ho fatto un percorso di psicoterapia con la dottoressa Oggioni. Da subito è entrata in sintonia con me. Con tanta professionalità e gentilezza, mi ha aiutata a scoprire ed approfondire alcuni aspetti del mio carattere che mi portavano insoddisfazione. Sono riuscita a prenderne consapevolezza e ad accettarli. Grazie alla dottoressa, sono cambiata e sono molto più serena! Grazie! Un grazie infinite anche a questa rete che mette a disposizione un servizio così prezioso in modo accessibile a tutti

Laura

Grazie per questa opportunita’ unica. Avevo necessita’ di trovare un psicoterapeuta per intraprendere un percorso e grazie a voi penso di aver trovato quello giusto, nonostante le risorse non mi permettessero tariffe normali. Ho consigliato il sito agli amici. Molto positivo poter leggere le schede degli aderenti on line. Grazie ancora ! Cristina

Cristina

Dopo aver passato un anno universitario bloccato a causa di attacchi di panico e di ansia, ho contattato la dottoressa Martano nella speranza di trovare aiuto e supporto per raggiungere i miei obiettivi. La dottoressa Martano non mi ha aiutato semplicemente, esplorando le mie paure conducendomi all’obbiettivo di una laurea che ormai è prossima, ma mi ha anche fornito gli strumenti per affrontare serenamente la vita di tutti i giorni. Grazie!

Caterina Mandolo

Gli ultimi psicologi che hanno aderito