di Luigi D’Elia.
Si è detto già tanto sulla disumanità di questo omicidio. S’è parlato della freddezza dell’assassino, della sua irriconoscibilità come potenziale assassino. S’è detto della bigamia, del tentativo di annullare la sua paternità imminente, dell’odio assoluto verso il femminile, del fascino che persone così conservano verso alcune donne. Ma quali sono state le reali dinamiche di questo delitto?
Indice
Impagnatiello come Joe Goldberg?
Quel mancato senso di paternità
L’onnipotenza individualistica come stile di vita
Impagnatiello come Joe Goldberg?

In realtà non sappiamo troppe cose, non sappiamo nulla di come questo delitto sia maturato nella mente di costui e su questo vuoto è molto facile fare illazioni di ogni genere. Mi aggiungo alla serie nel tentativo di svelare qualche particolare in più.
Da lettore elettivo dei fenomeni di interfaccia psicosfera-sociosfera, non posso, però, non collegare un personaggio del genere con il famoso Joe Goldberg della serie “You“, di cui ho già scritto e commentato.
Di lui dicevo: <<Joe Goldberg è il testimone vivente di almeno due cosucce: la prima è che ogni diagnosi non dice in sostanza granché della complessità dell’animo umano (e questo lo si sapeva già), la seconda è che la nostra società è diventata un’enorme sala giochi dove giocare a nascondino e riuscire perfettamente a mimare ogni attesa normalità>>.
Joe l’araldo di questo assassino? Forse…
Quel mancato senso di paternità
Diversamente da quel personaggio, l’assassino di Giulia e Thiago, è venuto allo scoperto immediatamente e non è divenuto seriale, ma se parliamo di “attesa normalità” i due sono davvero simili, tranne che per il sentimento di protezione della prole che l’assassino reale evidentemente non ha affatto, e Joe invece sì.
Ma come si combinano nella mente di questo assassino (la cui generica organizzazione di personalità narcisistica diamo per scontata) la concomitanza di una bigamia conflittuale, di una paternità non voluta, di una irresponsabilità interpersonale, di patti di coppia fondati unicamente su attrazione e reciproco soddisfacimento?
Facile pensare ad un “click” detonatore tra tutti questi elementi esplosivi.
Ricordo un mio vecchio caso di un signore di 40 anni, mai stato male prima, che appena apprese (tramite impatto visivo con ecografie) della sua paternità tentò per ben 3 volte il suicidio. In questo caso la furia omicida era auto-rivolta. Ci sono situazioni di stress provocate dalla paternità le cui conseguenze sono a volte imprevedibili su strutture fragili. Non è semplice impreparazione al compito, ma vero e proprio sentimento di un cambiamento catastrofico irreversibile.
L’onnipotenza individualistica come stile di vita

Ma diciamo qualcosa anche sulla motivazione dichiarata dell’omicidio: l’assassino aveva scelto un’altra donna e si voleva sbarazzare della prima. Quanti casi di poligamia non riconosciuta o viceversa riconosciuta e irrequieta, arrivano, infelici, nei nostri studi provandosi a cercare quadrature del cerchio impossibili?
E poi, ancora, quante altre mille storie ci stanno capitando in questi ultimi anni tra i nostri più comuni pazienti, di casi di gelosia delirante, di possessività estrema, di dipendenza da sesso confusa per amore o attaccamento romantico?
A me decine e decine, specie l’ultima fattispecie.
E non è questo un preciso indicatore sociale? Non ci indica una precisa direzione delle relazioni di coppia?
La direzione è quella dell’eclissi della famiglia e del trionfo dell’individuo onnipotente e autarchico che non accetta alcun limite alla propria onnipotenza e all’esercizio del proprio piacere estetico. Dove il possesso dell’altro non è che il corollario del proprio status di potere sulla propria vita priva di ostacoli e di responsabilità relazionali di alcun tipo.
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L’altro come ostacolo
L’affermazione apodittica del proprio diritto sacrosanto all’autodeterminazione, del tutto svincolata da qualunque responsabilità di legame e di impegno interpersonale è diventato oggi quasi un valore condiviso, qualcosa che anche un partner in stato di bisogno (come l’essere incinte) alla fine può riconoscere come legittimo nel proprio partner infantile e capriccioso e rivendicante i propri spazi e il proprio diritto al piacere e alla libertà.
Ciò a cui assistiamo e che questi casi estremi ci presentano esemplificandoli, sono situazioni per le quali è avvenuta una cancellazione della reciprocità del legame e l’altro bisognoso diventa uno dei tanti ostacoli alla propria presunta felicità e autodeterminazione.
Come ci insegna il filosofo Paolo Virno, la nostra mente, linguisticamente strutturata, è in grado in un attimo, con una semplice negazione linguistica di derubricare l’umanità dell’altro in qualcosa di molto inferiore che giustifichi qualunque azione disumana.
L’altro si frappone come l’ostacolo, disumanizzato, alla mia felicità. Mi autolegittimo a rimuoverlo in nome della mia autodeterminazione.
Riflessione conclusiva
Perché dunque questi assassini si confondono così bene tra di noi, sono normalizzati, ammirati, persino amabili?
Il loro stare al mondo e la loro rivendicazione assoluta nel sentirsi deresponsabilizzati e sciolti da qualunque forma di legame trova terreno fertile nel sentimento collettivo che giustifica e sdogana questa affermazione onnipotente di sé.
In altre parole: il principio di autodeterminazione, conquista sacrosanta del soggetto contemporaneo degli ultimi 3 secoli, si trasforma, laddove assume forma assoluta e svincolata dal resto dell’umanità come il trionfo dell’individualismo sociopatico nella sua più alta radicalità.